La delibera assembleare di conferma nell'incarico dell'amministratoreoggetto di istanza di revoca giudiziale
non fa venir meno l' interesse ad agire del condomino ricorrente. Questo l'interessante chiarimento contenuto neldecreto del 30 giugno 2025
con cui il Tribunale di Milano ha accolto larichiesta di revoca di un amministratore condominiale per gravi irregolarità.
Fatto e decisione.
Un condomino aveva chiesto al Tribunale di Milano di provvedere alla revocadell'incarico affidato all'amministratore condominiale per una serie di gravi irregolarità. Quest'ultimo, nel costituirsi in giudizio, aveva chiesto direspingere il ricorso, evidenziando, in particolare, che la maggioranza dei condomini, riunitasi nel frattempo in assemblea, aveva confermato il suo incarico.
Per tale motivo, secondo l'amministratore, il Tribunale doveva pronunciare il non luogo a procedere per cessazione della materia del contendere e, in ognicaso, rigettare il ricorso, in quanto infondato in fatto e in diritto, con vittoria dispese e compensi.
Il collegio ha preliminarmente osservato che la cessazione della materia del contendere è fattispecie non prevista espressamente dal Codice di procedura civile.
La stessa sussiste quando, nel corso di un procedimento contenzioso giurisdizionale, interviene un atto o un fatto che comporta il venir meno della ragion d'essere del processo, per motivi oggettivi (ad esempio, la morte di uno dei coniugi nel giudizio di separazione personale) o soggettivi (ad esempio, la rinuncia all'azione da parte dell'attore) o, comunque, allorché sopravvengano nel corso del giudizio altri fatti che comporti il venir meno dell'interesse a una pronuncia giudiziale (c.d.
interesse ad agire).
L'automatico venire meno dell'interesse di questi ultimi a ricorrere, atteso il chiaro disposto dell'art. 1129, comma 12, c.c., che prevede che, in caso di revoca da parte dell'Autorità Giudiziaria, l'assemblea non possa nominare nuovamente l'amministratore revocato. In un caso del genere non può quindi essere dichiarata la cessazione della materia del contendere.
Il Collegio ha quindi valutato se nella specie fossero state provate le irregolarità contestate dal condomino ricorrente e se le stesse fossero talmente gravi da giustificare la rimozione dell'amministratore condominiale dal proprio incarico.
Il Tribunale, in particolare, ha ritenuto che la permanenza dell'amministratore nella gestione del condominio non fosse più possibile perché risultava documentalmente che lo stesso avesse utilizzato il conto corrente del condominio per emettere una serie di assegni in favore di società che non risultavano essere fornitrici dello medesimo condominio o in favore di altri condomini.
L'amministratore, inoltre, aveva utilizzato il bancomat del condominio per effettuare pagamenti presso vari esercizi commerciali e aveva finanche effettuato prelievi di somme di denaro in contante dal conto corrente condominiale utilizzando sportelli ATM bancari.
Ad avviso del Tribunale tale modus operandi, integrante un indebito utilizzo del conto corrente condominiale, sarebbe, di per sé solo, sufficiente a integrare i requisiti di legge per far luogo alla revoca, ponendosi apertamente in contrasto con i canoni di diligenza esigibili dall'amministratore e tale da ledere il rapporto di fiducia che deve necessariamente caratterizzare il mandato gestorio.
Ma nella specie la questione era ulteriormente aggravata dalla documentata presenza, sul conto corrente condominiale, di bonifici in entrata provenienti dai conti correnti di altri condomini o da conti correnti intestati a familiari dell'amministratore o addirittura a quest'ultimo.
Si trattava, secondo il Collegio, di condotte indicative di una gestione grossolana o quantomeno superficiale della cosa comune, così da integrare il disposto di cui
all'art. 1129 c.c., che contempla, tra le gravi irregolarità che possono condurre l'Autorità Giudiziaria a disporre la revoca dell'amministratore proprio una gestione della cosa comune secondo modalità tali da ingenerare possibilità di confusione tra il patrimonio del condominio e il patrimonio personale dell'amministratore.
Infine risultava anche che quest'ultimo non aveva ottemperato al decreto ingiuntivo emesso nei suoi confronti dal medesimo Tribunale di Milano e con il quale gli si ingiungeva di consegnare della documentazione in suo possesso.
Con tale condotta l'amministratore si era quindi reso anche autore della violazione di cui all'art. 1129, comma 12, n. 2, c.c. per la mancata esecuzione di provvedimenti giudiziari.
Il Tribunale ha quindi preso atto dell'assoluta gravità della condotta serbata dall'amministratore condominiale e ha conclusivamente ritenuto che tutte le circostanze denunciate, unitamente considerate, attestassero una condotta pienamente idonea a integrare i requisiti di legge per disporne la revoca dal proprio mandato gestorio dell'amministratore, disciplinando in modo rigoroso i casi costituenti gravi irregolarità e in presenza dei quali si ritengono sussistere profili patologici tali da sfociare nella revoca dell'incarico conferito all'amministratore condominiale.
Come evidenziato dal Tribunale di Milano, l'elenco delle ipotesi costituenti gravi irregolarità contenuto nel dodicesimo comma dell'art. 1129 c.c. deve però ritenersi meramente esemplificativo, dovendo essere completato da altre fattispecie ricomprendenti tutti quei comportamenti che fanno sospettare una gestione anomala della cosa comune da parte dell'amministratore, con l'unico limite della loro gravità.
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